CAPITOLO 15

 

Si fermò a pranzo alla pensione, Tiziana era troppo presa dal lavoro. Avrebbero mangiato un po' più tardi dell'ora prevista, ma non sarebbe stato un problema. Il commissario ne approfittò per leggere il giornale e sentire il notiziario in televisione, che naturalmente dava ampio spazio alla celebrazione dei funerali della famiglia Di Silvestro. Il cameraman aveva insistito sulla ripresa delle prime file, per poi eseguire una panoramica dell'intera chiesa e del piazzale. Guardando le immagini, Boschi notò quel che aveva detto Martella: l'asiatico non sembrava affatto interessato alla cerimonia, bensì alla ricerca del suo obiettivo. Ma lui e gli altri, stando in prima fila, non potevano notarlo. Era stato solo un caso, l'agente si era attardato a prendere posto e si era insospettito, come un musicista al quale non sfugge una nota stonata, una sola, durante un concerto.
Al termine del notiziario Tiziana raggiunse Boschi, si unì la signora Rosa e si misero a tavola. Il commissario raccontò quanto gli era accaduto, provocando un grande spavento nella ragazza (“potevi non essere più qui...al solo pensiero mi sento svenire!”), ma sottolineando la bravura dei suoi uomini e la rapidità di intervento dell'agente Martella (“quel ragazzo è un angelo, portalo qui perchè voglio cucinare per lui un capolavoro”). Finito il pranzo si congedò, doveva tornare subito in ufficio: voleva interrogare l'asiatico ed aveva un'idea che gli ronzava in testa.
Era appena sceso dall'auto per entrare in commissariato, quando Menichelli apparve sulla porta:
“Commissario, meno male che l'ho sentita arrivare. C'è un certo signor Viterbo in linea per lei.”
Boschi entrò di corsa:
“Passamelo in ufficio!”
Era certo di conoscere lo scopo della telefonata ed infatti non sbagliò.
“Commissario, sono Maurizio Viterbo, della cooperativa Bosco Fiorito. La disturbo?”
“Assolutamente no, non si preoccupi. Mi dica.”
“Ecco commissario, l'ho chiamata per dirle che ieri sera, dopo il rientro dei detenuti, abbiamo subìto un atto vandalico. Ma secondo me non è da prendere sottogamba.”
Con voce tranquilla, Boschi rispose:
“Hanno tagliato degli alberi del giardino e devastato un paio di aiuole, fino a non poterle distinguere più. Dovevano cancellarle.”
Viterbo si meravigliò:
“Caspita, è andata esattamente così! Ma qualcuno l'ha avvertita prima di me?”
“No, non si preoccupi. Poi le spiegherò come ho fatto a capirlo. Mi dica, c'era qualche traccia sul posto?”
“Cosa intende dire?”
“Non so, qualche impronta di scarpa, qualche rifiuto. Insomma, qualcosa.”
“Commissario, noi non abbiamo toccato nulla. Ho chiamato i suoi colleghi di qua.”
“Ha fatto benissimo, signor Viterbo. Mi faccia chiamare dal commissario di zona e stia tranquillo. Le posso già dire che non subirete altri atti vandalici.”
“Come fa ad esserne così sicuro?”
“Anche questo glielo spiegherò a suo tempo, se ne avremo l'occasione.”
Chiuse la comunicazione, quindi chiamò il questore Mazzotta. Gli spiegò a grandi linee quel che aveva in mente, lo pregò di aiutarlo parlando con chi di dovere. Non avrebbero avuto molto tempo.
Dopo neanche dieci minuti sentì bussare alla porta. Era Menichelli.
“Commissario, c'è il giudice Berardi.”
Il giudice entrò, aveva ancora il cellulare in mano:
“Mi hanno appena chiamato il questore Mazzotta e l'Interpol, un istante dopo mi ha chiamato il Prefetto. Boschi, se le sue supposizioni trovano conferma siamo davanti ad un caso senza eguali.”
Il commissario fece accomodare il giudice, quindi chiamò Palumbo. Il vicecommissario raggiunse il suo superiore e salutò il giudice.
“Avete individuato l'identità del fermato?”
“Non ha documenti. O meglio li ha, ma sono falsi.”
“Non c'è problema. Ora il giudice Berardi ci accompagnerà nella saletta e lo interrogheremo. Sono sicuro che salteranno fuori molte cose interessanti.”
In quel momento squillò il telefono. Era Menichelli.
“Commissario, ho in linea un suo collega di Roma.”
“Passamelo.”
Il commissario mise il vivavoce. Ormai tutti dovevano essere messi al corrente della cosa.
“Boschi? Sono Roberto Bucciarelli, commissario del X Salario. Maurizio Viterbo della cooperativa Bosco Fiorito mi ha chiesto di chiamarti.”
“Ciao, collega. Dimmi che hai scoperto.”
“Guarda, quando siamo arrivati sul posto abbiamo visto il danno, ma a parte questo mi ha colpito una cosa: sul tronco di uno degli alberi intatti era attaccato un messaggio, scritto su un cartoncino. Lo abbiamo fatto tradurre, era scritto in caratteri cinesi.”
Boschi urlò:
“Centro!”
Tutti i presenti lo guardarono sbalorditi. Bucciarelli domandò:
“Centro per cosa?”
Boschi replicò:
“Sarebbe troppo lungo da spiegare. Ma dimmi, per caso il messaggio diceva che tutto l'inutile deve essere cancellato?”
Bucciarelli era sempre più sbalordito:
“Esatto. Ma tu come fai a saperlo?”
“Un giorno te lo racconto. Vieni in vacanza sull'Adriatico, ci facciamo una cena di pesce e potremo farci una lunga chiacchierata.”
“Lo farò. Dimmi, posso ancora esserti utile?”
“Un'ultima cosa, se non ti chiedo troppo. Chiama la Scientifica, fai analizzare il legno tagliato e la terra smossa, magari l'autore del gesto ha perso un capello, una goccia di sudore, che so.”
Bucciarelli ridacchiò:
“Magari vuoi il DNA del vandalo.”
“Sì, come l'hai capito?”
“Boschi, siamo nati sbirri. Quelli come noi hanno il sesto senso. Dammi una mezz'ora e ti mando quanto ti serve.”
“Grazie, buon lavoro.”
“Buon lavoro a te.”
Il giudice Berardi guardò con aria interrogativa il commissario:
“Boschi, vuole avere la bontà di spiegarmi, una buona volta?”
Il commissario replicò:
“Ancora un attimo di pazienza, signor giudice. Faccio un paio di telefonate, poi potrò spiegarle tutto. Ormai ho la certezza che potrà chiudere il caso.”
Prese il telefono, chiamò il medico legale.
“Dottor Sartorelli, innanzitutto la volevo ringraziare per la sua disponibilità a lavorare di sabato. Ha delle novità per me?”
“Guardi commissario, le sto inviando quelle informazioni proprio adesso. L'assassino del filippino ha lasciato delle tracce di saliva sul corpo della vittima, deve aver sputato sul morto o qualcosa del genere, forse per mostrare tutto il proprio disprezzo. Ma quelle tracce ci hanno consentito di isolare il DNA.”
“Grazie dottore, spero di poterle dare presto delle buone nuove. Le chiedo un'ultima cortesia.”
“Si figuri commissario! Sempre a disposizione.”
“A breve le manderò un campione organico di un fermato. Ho bisogno che lei mi estragga ancora il DNA, il prima possibile.”
“Non si preoccupi commissario. Mi mandi quel che occorre, entro un'ora avrà la risposta.”
Boschi chiamò Martella:
“Vai dall'asiatico, sicuramente si sarà graffiato quando lo hai disarmato e catturato. Mettiti i guanti, prendi un fazzolettino e procurati qualche goccia di sangue oppure un frammento di pelle. Poi metti il fazzolettino in una busta, chiami Grossi e Carelli e lo fai portare al medico legale.”
Il giudice Berardi guardò sorpreso il commissario:
“Lei pensa davvero quel che penso io, commissario?”
Boschi annuì. Palumbo disse al suo superiore:
“Vuoi dire che avremo tre indicazioni dello stesso DNA?”
“Esattamente.”
Nel dir questo controllò il computer. In quel preciso momento giunse il messaggio del commissario Bucciarelli, quasi in contemporanea con quello del medico legale. Menichelli stampò i due allegati, li portò al commissario. Boschi li mise in una busta, mise poi il tutto in un cassetto che chiuse a chiave.
“Ed ora andiamo a fare due chiacchiere con l'asiatico.”
Entrarono nella saletta degli interrogatori, incrociarono Martella che usciva con un sacchetto che conteneva un tampone di garza. Boschi lo guardò divertito.
“Quando ti annoierai di stare nella polizia, ti farò avere una raccomandazione per un posto da infermiere.”
Entrarono nella saletta degli interrogatori. L'asiatico era seduto ad un tavolo, Vicari e Zuccoli lo tenevano d'occhio.
Boschi entrò subito nel vivo della questione.
“Allora, ci dici chi sei? Come ti chiami? Perchè hai dei documenti falsi?”
L'asiatico rispose in perfetto italiano:
“Tu hai i miei documenti. Tu hai visto.”
Vicari e Palumbo sembravano pronti a mettergli le mani addosso, il commissario li fermò con un gesto.
“E va bene. Se non mi dici tu chi sei, te lo dirò io.”
L'asiatico sembrava non aver sentito. Boschi continuò:
“Tu eri uno dei luogotenenti di Xi-Mi-Jang e Mira-Ji-Long, a capo di un traffico internazionale di armi, sventato una quindicina di anni fa. Con te lavorava Fahrid Kahlgibran, lui dirigeva la base di smistamento in Pakistan, tu facevi la spola tra Pechino e l'Europa, ma senza sporcarti le mani. Non ti avrebbero mai potuto incriminare, non portavi soldi addosso, dovevi solo controllare. Ma poi la situazione è precipitata, la polizia ha arrestato Nathan Suzette e lui ha cominciato a collaborare. Da lui si è arrivati alla base in Pakistan e quindi a Fahrid Kahlgibran, che è stato arrestato. Fahrid ha scontato quasi tutta la pena, ora è in regime di semilibertà. Ma questo tu lo sai bene, sai anche dove presta servizio durante il giorno, visto che ieri pomeriggio sei andato a distruggere tutto il lavoro che lui ha fatto. No, distruggere non va bene, dovrei dire cancellare. E' esatto?”
L'asiatico alzò appena gli occhi, abbozzò un sogghigno.
“Hai molta fantasia, sbirro. Ma non hai prove, le tue sono solo parole.”
Boschi replicò:
“Sei stato così gentile da fornirci le prove che cercavamo. Ma ti dirò di più. Hai provato a cancellare Fahrid, ma ormai non lo troveresti più, lo abbiamo fatto trasferire. Hai già cancellato Suzette, prima avvelenandolo con il gas della cucina di casa sua, poi gettandolo dal decimo piano. Di faccia, in modo da poterla cancellare per sempre. Ma sei stato così stupido da manifestare il tuo disprezzo sputando sul suo corpo. Hai fatto un favore al medico legale, che ha potuto isolare il tuo DNA. E la stessa cosa hai fatto a Roma: per fare tutto quello che hai fatto tu, in poco tempo, si suda. E' estate, è normale che sia così. I dati del tuo DNA sono nel mio ufficio.”
Il cinese lo guardò di nuovo:
“Come puoi dire che quel DNA è il mio?”
Boschi rise:
“Perchè sei stato così idiota da fornircelo anche oggi, quando l'agente Martella, lo stesso che ti ha disarmato ed immobilizzato, ti ha ripulito i graffi. Il medico legale ci sta lavorando, in pochi minuti quel dato sarà qui. Mi basterà chiedere a Fahrid Kahlgibran per avere il tuo nome.”
A quel punto l'espressione del cinese cambiò, l'uomo ebbe una violenta reazione:
“Maledetto sbirro! Maledetto pachistano!”
Palumbo e Vicari gli misero i polsi dietro la schiena, lo ammanettarono e lo riportarono in camera di sicurezza. Ma ormai ci sarebbe stato poco tempo. Il giudice Berardi disse a Boschi:
“Commissario, si faccia dare il nome del cinese. Le firmerò un ordine di arresto immediato. Due tentati omicidi e l'assassinio efferato del filippino saranno sufficienti a tenerlo in galera per molto tempo. I miei complimenti per la sua indagine.”
Tornarono nell'ufficio del commissario. Sul tavolo videro una busta chiusa, senza intestazione, a firma del dottor Sartorelli, il medico legale. Boschi la aprì, quindi aprì la busta che custodiva nel cassetto: tutto combaciava, il commissario aveva vinto la sfida.
Il giudice si rivolse al commissario:
“Ma se il cinese voleva davvero colpire Kahlgibran, perchè danneggiare le aiuole e gli alberi?”
Boschi rispose:
“Per dare un segnale, signor giudice. Il cinese non voleva colpire la cooperativa, bensì avvisare il pachistano in maniera inequivocabile. Ma c'è ancora qualcosa che non torna, sto aspettando un paio di risposte.”
Il giudice concluse:
“Non le chiedo di cosa si tratta. Ma faccia in fretta, commissario. Lei ha dimostrato una capacità di investigazione notevole, mi auguro che i risultati che sta cercando arrivino presto.”
“Farò del mio meglio, dottor Berardi.”
“Arrivederci. E mi tenga informato.”
Appena il giudice uscì, Boschi chiamò il questore. Mazzotta sembrò sconvolto per il tentativo di aggressione che il commissario aveva subìto, poi si rallegrò per l'arresto del cinese. Tuttavia, come già aveva fatto il giudice, raccomandò a Boschi di chiudere in fretta l'indagine: il Prefetto voleva delle risposte.

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